Racconto-Gioco letterario: Scopri il titolo


Questo non è un racconto di fantasia, ma la storia vera di un cuore semplice, ovvero una Sfida al lettore*

Il pomeriggio del signor Andesmas, che abitava in una pensione tedesca chiamata la Palazzina di villeggiatura gialla e gestita da tre donne, tre sorelle vedove, era un pomeriggio uggioso.
Lui avrebbe voluto un mese di domeniche, invece era un lunedì, fine settembre 1934, e solo tra una settimana avrebbe forse rivisto la signorina Else, alta, pelle di corallo, occhi blu, capelli neri, denti bianchi come perle: la bellissima pensionante che incontrava spesso la domenica mattina e che lo salutava con affabilità. Quando, con il cuore in gola e superando il pudore, era riuscito a fermarla sul pianerottolo, lei si era allontanata. Ma alla fine della scala guardandolo con un certo sorriso, come qualcosa che brucia in silenzio giù in fondo, aveva mormorato: -Non ora, non qui.
In quel preciso momento a lui era salita una vampata di rossore al viso e gli si era formato un nodo alla gola, il nodo della timidezza, ed era rimasto senza parole. Avrebbe voluto chiederle: le piace la musica, le piace ballare? Oppure: le piace Brahms? L’indomani avrebbero inaugurato la scuola di ballo e la sera ci sarebbe stato l’ultimo concerto dedicato a Brahms e Wagner: le occasioni giuste per uscire insieme.
Invece gli era mancato il respiro, anche perché lei era una donna virtuosa e sfuggiva i suoi tentativi di avvicinamento, quasi fosse una creatura di sabbia o di fumo. Forse avrebbe dovuto scriverle la lettera d’amore che aveva sempre desiderato scrivere a una donna. Una lunga lettera con le parole dell’amore che le donne desiderano ascoltare: “La più cara sei tu, la mia vita avrà un senso se tu, amatissima, sarai mia per sempre. Tu sei, mio carissimo amore, il regalo più bello. Chi ti ama così? Nessuno ti amerà del mio amore e io sarò come tu mi vuoi perché tua è la mia vita”. O magari sarebbe bastata una frase, un rigo appena: “A me sei giunta insperata, ti amo”. Oppure sarebbe stato meglio non lasciarsi trasportare nell’intimità e limitarsi a una frase breve come un sospiro, ma formale: “Mia bella signora, vi amo, e sarà per sempre. Con le migliori intenzioni, Lenz Andesmas”.
Lui sognava la felicità coniugale, le piccole gioie che un matrimonio felice gli avrebbe dato, ma prima c’era il fidanzamento e poi una domanda di matrimonio, e comunque prima di prender moglie doveva tener conto che sposarsi significava offrirle la vita semplice di un impiegato d’imposte. Perché lui faceva lo scrivano, anzi l’assistente scrivano; avrebbero attraversato tempi difficili, ma il pane quotidiano non sarebbe mancato.
Lei, invece, svolgeva un lavoro inadatto a una donna. Andesmas non sapeva in che cosa consistesse, ma anche se le donne devono lavorare -e però a lui il lavoro  delle donne non piaceva- non era poi giusto che fosse un lavoro di notte:  le donne dovevano lavorare in casa. Gli sembrava di aver capito che facesse la governante o l’accompagnatrice di una signora sola, la signora Katrina, che abitava in fondo alla strada, eppure non le aveva mai viste insieme né voleva chiedere alle tre sorelle perché erano un groviglio di vipere; specie la più grande, madame Strauss, con quegli occhi indiscreti e il cornetto acustico sempre in mano, era una vecchia signora malvagia.
Durante il tè delle tre vecchie signore qualcuno aveva detto che la signorina andava spesso in viaggio con la zia, e che una volta era stata addirittura tre mesi in Italia. Ma sua moglie sarebbe rimasta a casa perché la notte è pericolosa, e poi si sa che lavorare stanca troppo le donne che hanno una famiglia. Comunque, nonostante la ragazza fosse per ora una perfetta sconosciuta, il sorriso ai piedi della scala lo induceva a sperare che sarebbero venuti i giorni felici dell’intimità e dell’amore.       
Intanto, per ingannare la lunga attesa avrebbe fatto la passeggiata consueta in giro per la città. Gli piacevano i sobborghi di Vienna, ma più ancora gli piaceva il centro, anche se la vita quotidiana a Vienna ai tempi di Mozart e di Schubert doveva avere molto più fascino della vita nuova che offriva la città attuale. Così come era stata tutta un’altra cosa la grande epoca della Vienna fin de siècle: dopo l’ottantanove, invece, la tragedia di Mayerling, con la morte di Sua Altezza Reale, l’arciduca Rodolfo, aveva creato fra la gente una malinconia palpabile, una desolazione, quasi l’amore della vita si fosse attenuato.         
Più tardi nel pomeriggio, intorno alle cinque della sera, indossò la camicia bianca, il gilet giallo cromo di seta, la cravatta verde e la giacca verde, il cappotto e il cappello nero; controllò se i baffi erano ben impomatati, li aggiustò con il pettine e uscì dopo aver chiuso con la chiave, mentre l’ultimo sole sul prato svaniva nell’ombra.  
Si rammaricò d’esser solo perché Vienna era la città degli amanti, e la sua felicità sarebbe stata completa se avesse avuto il privilegio di fare la passeggiata con la ragazza, magari ammirando Vienna dal Belvedere oppure visitando la Cripta dei Cappuccini e cercando l’imperatore Francesco Giuseppe, che lì riposava, ignaro che la sua morte aveva sancito la morte del sogno di una grande Austria, segnando la sorte dell’Europa.
Alla fine della strada svoltò in via Bodenbach, passando davanti alla bottega del candelaio, che esponeva la scritta: “Uno scellino per le candele”. Salutò il calzolaio Hinnerke e l’aggiustapendoli Woyzeck, intenti a discutere con il sergente Studer, e guardò l’impagliatore di sedie urlare contro Gimpel l’idiota, il figlio della serva che faceva il commesso da lui, e che in quel momento se la stava svignando di corsa gridando: -Torno presto!
A mano a mano che lasciava il vecchio quartiere della periferia, l’eleganza delle strade annunciava il paesaggio della città, ricco di voci e colori che si mischiavano, riportandolo agli anni d’infanzia e a quelli dell’adolescenza. Sotto i tigli, le vetrine illuminate erano colme di cose preziose che il signor Andesmas  avrebbe voluto comprare, ma non poteva. Doveva cambiare il dono e, invece di gioielli, scegliere regali come il ventaglio indiano o lo scialle andaluso che l’ambulante di poco prima gli aveva offerto, o magari la clessidra dorata: non costava che un soldo ed era pure  utile.
Più avanti, dalla pasticceria con l’insegna “Delizie croccanti e cacao” lo assalì un profumo di vaniglia e cioccolato, e prese la decisione di comprare cioccolatini, avvolti in carta colorata sulla quale erano stampati i ritratti di Mozart, una golosità a cui non sapeva resistere, anche perché costavano non un soldo di più non un soldo di meno di quanto aveva immaginato. Riprese quindi il cammino, indeciso se andare al circo o a teatro.  
Lungo la strada incrociò dapprima il signor Theodor Mundstock, poi il sottotenente Gustl e il professor Unrat: tutt’e tre finsero di non vederlo. Proseguì sul Ring e quando arrivò al Burgtheater, dove rappresentavano “Il sentiero del laghetto” di Arthur Schnitzler, decise di entrare. Ma il teatro era affollato, e il buio in sala lo infastidiva. Tra un atto e l’altro se ne andò. All’uscita incontrò Hermann Lauscher, l’amico d’infanzia con il quale scambiò affettuosamente una stretta di mano.    
Mentre i due amici chiacchieravano, sul marciapiede di fronte si fermò la signorina Else, in compagnia di un uomo con gli occhiali d’oro. L’uomo vestito di marrone, e con una violetta del Prater all’occhiello, la teneva sottobraccio con sensualità. In principio il signor Andesmas non ci fece caso, quasi fosse stato sorpreso dalla gioia di una visione.
-La signorina!- mormorò rapito -Guarda, è come un angelo.
-L’angelo caduto …- gli fece eco Hermann.
-Che cosa hai detto?- domandò lui con un filo di voce.
-Che è davvero bella da morire, però, detto tra noi, peccato che sia una puttana.
Il signor Andesmas sentì un colpo al cuore.
-Impossibile!- proruppe sdegnato -Lei è una ragazza per bene.
-Ma figùrati! È una ragazza per la notte.  
-Maledizione, non ci credo! Tu la stai calunniando come se niente fosse! Ma almeno lo sai chi lo ha detto?
-La città mormora. Dicono di lei che sia una di loro, una donna di piacere. Ed è la semplice verità, solo la verità. Si fa chiamare Mademoiselle de Maupin ed è la passione del Dr. Christian, ogni mese trascorrono insieme due settimane in un’altra città, inoltre è l’amante di Jakob von Gunten.
-Di Jakob, il compagno dei nostri giorni di scuola?- chiese il signor Andesmas con il gelo nel cuore.
-Sì, proprio lui. E per finire, mio cugino Cristiano dice che è anche la donna del tenente francese, quel tale Louis Lambert, un antipatico volpone predatore. Per non parlare di tutti i ragazzi di Vienna che hanno avuto una relazione intima con lei. Insomma, non so la cifra, ma accendi la sua fiamma con un mucchio di quattrini e farai con lei affari d’amore.
Per i primi tre minuti il signor Andesmas si sentì alla deriva, e non disse nemmeno una parola. Quando si riprese dallo shock, si schiarì la voce e a denti stretti mormorò:    
-Dov’è più la virtù? Avrei dovuto restare a casa.
-Dai, non essere triste! Ti faccio una modesta proposta che però servirà a distrarti: andiamo a vedere la partita di biliardo alle nove e mezzo.
-No, adesso me ne vado. Si sta facendo sempre più tardi, è tempo di rientrare.
-Ascolta Lenz, io lo so che non è facile accettare la delusione, ma, credimi, non vale la pena di soffrire per una donna così. Capisco che è una questione privata, ma parliamone un po’ tra amici perché credo che q…
-No, Hermann- lo interruppe il signor Andesmas -Gentilmente, mai devi domandarmi fatti personali. Quel che c’è nel mio cuore riguarda me solo.
-Hai ragione, scusami, lo so che è difficile parlare di sé, ma non puoi tornare a casa in questo stato. Se vuoi possiamo camminare insieme per un tratto.    
-Preferirei di no, grazie lo stesso. Vai tranquillo, non è successo niente, ho soltanto dato un contributo alla conoscenza della stupidità umana. Buon proseguimento.
-Come vuoi. Arrivederci a domani. E se hai bisogno, chiama.
-Sì, grazie. Ciao a domani.
Il signor Andesmas si girò a guardare per l’ultima volta la svergognata, la donna dai due volti che con quei falsi occhi d’angelo gli aveva distrutto il sogno di una vita coniugale felice, e prese a camminare verso casa a occhi bassi, con la morte nell’anima.

*(Nota dell’A.: Il corsivo è mio)

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